gocce di finanza 10

 

“La globalizzazione ormai è un dato di fatto. Ma penso che abbiamo sottostimato la sua fragilità.”

Kofi Annan

 

 

In queste ultime settimane sono tornate di moda due parole GLOBALIZZAZIONE e DEGLOBALIZZAZIONE.

 

 

Cerchiamo di spiegare cosa intendiamo per globalizzazione dell’economia, ovvero quel processo che ci permette di cercare il produttore più conveniente per il bene che cerchiamo.

Esattamente come facciamo quando cerchiamo l’inchiostro per la stampante, andiamo su Amazon e cerchiamo il fornitore più conveniente, a prescindere dall’origine del venditore e dalla fabbrica produttrice; a qualità di prodotto, scegliamo quello che costa meno e funziona sulla nostra stampante.

 

Cosa implica la nostra scelta?

Ci sono diversi fattori che sono interessati, solo per fare alcuni esempi: la nazione del venditore, che può avere un regime fiscale agevolato, oppure il luogo ove il bene viene prodotto nel quale il costo del lavoro può essere inferiore, e, non ultimo, la disponibilità di materia prima.

Durante il periodo del Covid ci eravamo già accorti che la globalizzazione aveva dei lati negativi, ovvero la dipendenza da un fornitore in un paese lontano poteva allungare notevolmente i tempi per la disponibilità del bene.

Ci ricordiamo tutti che, ad esempio, nel settore automobilistico la mancanza di alcuni microprocessori prodotti nel far east ha provocato fortissimi ritardi nelle consegne dei beni.

 

Cosa intendiamo, invece, per deglobalizzazione o, come di moda ora, di regionalizzazione dell’economia.

Sono tutti quei fenomeni che fanno riportare in prossimità determinati cicli produttivi. Un esempio legato alla crisi per la guerra in Ucraina è quello del grano, in Italia avevamo lasciato incolto, in accordo con l’Unione Europea ca 1mln di ettari, che ora saranno di nuovo destinati alla produzione agricola.

La scelta iniziale era legata al minor costo della produzione in Ucraina, ora però la carenza di materia prima ha creato problemi alle filiere ed aumenti di costo.

 

Cosa ci ha insegnato la guerra tra Russia ed Ucraina?

Il nostro mondo è ancora legato all’energia fossile in cui pochi soggetti detengo le risorse, e la carenza di risorse genera una impennata dei prezzi che ha impatti globali. Il conflitto sicuramente nel breve termine orienterà le produzioni industriali verso le aree del mondo più stabili e non su quelle con i minori costi; la disponibilità di merce a prezzo basso ha portato ad una crescita economica, ma allo stesso tempo ha indebolito i lavoratori, ricordiamoci il potere dei lavoratori e dei sindacati nel XX secolo, quindi prevedibilmente ci sarà un riequilibrio tra capitale e lavoro.

Al contempo non bisognerà cadere nel protezionismo, ovvero la tendenza a proteggere il mercato interno, strategia che, quando è stata applicata, ha sempre portato ad un peggioramento della situazione perché non si può vivere in una bolla non connessa con il mondo.

 

Questa crisi può essere l’opportunità per porre le basi di una nuova società basata su una nuova rivoluzione industriale, quella della RETE.

 

Ad oggi, forse non tutti lo sanno, ma il costo minore per produrre energia elettrica, è quello fotovoltaico:

“Produrre 1 kilowattora (kWh) di elettricità con il fotovoltaico nel 2020 è costato in media nel mondo 3,7 dollari, con l’eolico 4,0 dollari. Produrre lo stesso kilowattora con il gas è costato 5,9 dollari, con il carbone 11,2 dollari e con il nucleare 16,3 dollari. Lo rivela il World Nuclear Industry Status Report (WNISR), un rapporto annuale prodotto da un gruppo di esperti internazionali indipendenti, guidati dal tedesco Mycle Schneider.” ANSA https://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/energia/2021/03/29/rinnovabili-1-kwh-solare-costa-37-dollari-nucleare-163_2deab495-c50c-406a-97f4-90cae57e2257.html

 

Cosa ci può insegnare questo?

Riprendendo le lezioni di Jeremy Rifkin potremmo ipotizzare la terza rivoluzione industriale basata sull’energia solare ed eolica. Fondata su tre pilastri: Energia – Comunicazione ­– Logistica

Una sorta di internet dell’energia, con sistemi di energia distribuita (possiamo immaginare anche  solo di mettere in rete tutta una serie di pannelli fotovoltaici, uniti a centrali idroelettriche ad accumulo ed al sistema eolico) gestito da un sistema di comunicazione (i cosiddetti Big data), che permetta di ottimizzare la distribuzione del fabbisogno energetico, possiamo anche ipotizzare una rivoluzione della mobilità con veicoli a guida autonoma che permettono, sempre grazie ai big data, una ottimizzazione dei trasporti e possono essere anche centri di accumulo di energia e dei data center periferici, cosa che in effetti sta già iniziando ad avvenire.

Una piattaforma di questo tipo permetterebbe un totale disimpegno dall’industria legata ai combustibili fossili ed una distribuzione capillare dei sistemi di alimentazione a costo zero perché il sole, il vento e l’acqua sono gratis.

Tutto questo non si fa in una notte ma occorre programmazione, lavoro ed impegno, ma ciò significa anche incremento del PIL e ricchezza.

 

In questo processo dovranno essere coinvolte anche  le grosse multinazionali, delle autentiche “imprese-stato”(tipo ENI e Casse Depositi e Prestiti per fare dei nomi conosciuti in Italia), capaci, con le loro decisioni di investimento, di influenzare l’economia mondiale, ma d’altronde, anch’esse sono ben coscienti che dovremo trovare delle soluzioni per la continuazione e la crescita della nostra specie.

La maggiore accessibilità delle fonti energetiche potrà portare ad un miglioramento diffuso ed a un impatto positivo sul PIL mondiale, ma soprattutto garantirebbe il futuro delle prossime generazioni

 

Per ogni informazione ed approfondimento, ed il check up finanziario vi invito a contattarmi 

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